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Insegnante no-mask e licenziamento per giusta causa - Avv. Arturo Strullato

  • 27/08/2021

IL FATTO

Una insegnante di una scuola dell'infanzia della provincia di Trento, nelle settimane iniziali dell’anno scolastico 2020/2021, ometteva ripetutamente di utilizzare la mascherina durante l’orario di lavoro, disattendendo prima gi inviti del Dirigente Scolastico e poi l’apposito ordine di servizio che le intimava di indossare il dispositivo di protezione.

L’ordine di servizio stigmatizzava non solo l’inadempimento in , ma anche la gravità del fatto in ragione del luogo in cui avveniva l'illecito disciplinare (un'aula scolastica),  caratterizzato da un tasso di socializzazione elevato.

All’origine della condotta, secondo l’insegnante, vi erano i pericoli per la propria salute che l’utilizzo prolungato della mascherina avrebbe potuto causare.

Licenziata per giusta causa, l'insegnante proponeva quindi ricorso dinanzi al giudice del lavoro del Tribunale di Trento, avanzando domanda di reintegra.

LA SENTENZA

Con una sentenza dell’8 luglio 2021 (a questo link), il Tribunale di Trento ha respinto il ricorso e dichiarato legittimo il licenziamento disciplinare  irrogato nei confronti della dipendente che, si ripete, si era ripetutamente rifiutata di indossare la mascherina protettiva durante il servizio scolastico.

Nel ricorso introduttivo  l'insegnante articolava diverse difese, ad una ad una smontate dal Tribunale. Venivano respinte le riferite (e non provate) problematiche di salute evidenziate dalla lavoratrice (in un'ottica di incompatibilità con l’utilizzo del contestato dispositivo di protezione).

Sotto altro profilo, il Giudice non accoglieva anche la tesi di “obiezione di coscienza”, appurandone l’irrilevanza e lo scollamento con  riferite problematiche di salute.

Non venivano presi in considerazione i testi scritti (proposti dalla lavoratrice) provenienti da non meglio precisati autori contrari all’utilizzo della mascherina: «isolate opinioni personali non verificate, né verificabili» ha affermato tranchant il Giudice, in contrapposizione a «studi riconosciuti dalla migliore letteratura scientifica».

ll Tribunale rilevava invece che la condotta dell’interessata si poneva in aperto contrasto con le linee di indirizzo per la tutela della salute approvate dal presidente della Provincia autonoma di Trento con ordinanza del 25 agosto 2020 e, a livello nazionale, dal Protocollo d’intesa siglato dal Ministero dell’Istruzione il 6 agosto 2020, prescrivente l’obbligo «per chiunque entri negli ambienti scolastici» di «adottare precauzioni igieniche e l’utilizzo di mascherina».

Sotto un profilo giuridico, secondo il Tribunale di Trento, i predetti atti e provvedimenti amministrativi trovavano idoneo fondamento anche nella volontà del legislatore (articolo 16, comma 1, del Dl 18/2020), che considera le mascherine un dispositivo di protezione individuale (DPI).

Al riguardo, richiamando precedenti orientamenti della Corte di Cassazione (sent. nn. 25932/2013 e 18265/2013), il giudice trentino ha ricordato come "il persistente rifiuto da parte del lavoratore di utilizzare i dispositivi di protezione individuale (DPI) giustifica il licenziamento per giusta causa".

In altre parole, il dovere di sicurezza vincola non solo il datore di lavoro, ma anche il lavoratore poiché si deve applicare la regola generale, secondo cui "ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro."

La condotta della ricorrente è stata pertanto censurata, per avere anteposto all’interesse generale convinzioni personali che non trovavano fondamento in conoscenze riconosciute dalla comunità scientifica.

CONCLUSIONI

Oggi ci muoviamo ancora in un quadro giuridico incerto ed i tentativi di colmare la lacuna normativa attraverso una più o meno estesa imposizione del green pass alimenta ombre e criticità, a scapito di un bene centrale nel rapporto di lavoro, ovvero la salute e sicurezza dei lavoratori.

La sentenza del Tribunale di Trento si caratterizza comunque per la linearità delle argomentazioni utilizzate, ove viene sottolineata la bilateralità del dovere di sicurezza ex art. 2087 cod. civ., equamente condiviso tra lavoratore e datore di lavoro: il primo, per la titolarità dell’obbligo di utilizzare il dispositivo di protezione; il secondo, per la responsabilità in vigilando,  confermando gli ampi spazi conferiti al datore di lavoro ex art. 2106 cod. civ. ed ex art. 7, Stat. Lav.  anche in chiave disciplinare.